Lirico e visionario, ironico e
violento, il romanzo di Kyçyku ci trascina in un vorticoso susseguirsi di voci
e apparizioni, passioni divoranti e febbrili attese, in un processo di
disgregazione psichica solcato dai bagliori di un arcano erotismo.
Zandonai Editore
"Una bella sorpresa e
una promessa"
Lorenzo Pompeo
Tra i non molti scrittori
albanesi tradotti e pubblicati in italiano, I fiumi del Sahara, romanzo breve
di Ardian-Christian Kyçyku (classe '69) rappresenta una bella sorpresa e una
promessa. Diciamo subito che non si tratta di un libro di facile lettura. Il
lettore sovente ha l'impressione di inoltrarsi in un sottobosco troppo fitto
nel quale rischia di perdersi. Come se l'autore avesse voluto dare prova di un
talento esuberante e strabordante, a volte persino ridondante. Tuttavia
l'abilità dell'autore e il suo stile personale sono innegabili. Il libro, tutto
in prima persona, racconta del ritorno del protagonista nel paesino natale
sulle rive del lago Ohrida (dove l'autore è nato). A causa di una frana che
blocca i contatti col mondo esterno, l'io narrante è costretto a fare i conti
col suo passato, travolto anche lui dalla frana dei ricordi. Attraverso un
monologo interiore ricco di immagini liriche e di invenzioni linguistiche,
incalzante, ironico e febbrile l'autore-autore fa i conti col suo passato, al
quale, evidentemente, è ancora legato. Cito qui uno dei passaggi di questo
incessante monologo interiore che mi sembra esemplificativo e più riuscito:
Mi girai dall'altra parte. Sentii i rintocchi dell'orologio. Il corridoio, sicuramente, remava nel buio. Le quattro porte e la finestra: chiuse. Di nuovo il rantolo dell'orologio. Si percepiva con una chiarezza soffocante. I pistoni. Sentivo, pensa un po', anche il vicino che russava. E il coniglio che aveva nella pancia. Sapete che il mio vicino è rimasto gravido annusando il coltello in un ristorante e ora porta in grembo un coniglio grosso come uno sciacallo? Sapete che il mio vicino può partorie solo con un taglio cesareo? E ora, chi lo semina tutto questo campo nero della notte?
La figura femminile di Sonila, con la quale il protagonista vivrà una bruciante passione, nella sua ingenuità, rappresenta forse il meglio che quel mondo provinciale può offrire al protagonista, dilaniato dal conflitto tra lei ed Ela, la donna che lo aspetta a Tirana e a cui probabilmente tornerà. L'inverno sul lago di Ohrida, l'oppressivo grigiore degli anni del comunismo e il gretto provincialismo fanno da sfondo a una progressiva immersione dell'io narrante nel gorgo delle sue ossessioni e delle più segrete passioni. Gli esiti artistico-creativi di questa dolente discesa negli inferi di una coscienza dilaniata sono notevoli, talvolta, però, a scapito dell'aspetto puramente narrativo.
Mi girai dall'altra parte. Sentii i rintocchi dell'orologio. Il corridoio, sicuramente, remava nel buio. Le quattro porte e la finestra: chiuse. Di nuovo il rantolo dell'orologio. Si percepiva con una chiarezza soffocante. I pistoni. Sentivo, pensa un po', anche il vicino che russava. E il coniglio che aveva nella pancia. Sapete che il mio vicino è rimasto gravido annusando il coltello in un ristorante e ora porta in grembo un coniglio grosso come uno sciacallo? Sapete che il mio vicino può partorie solo con un taglio cesareo? E ora, chi lo semina tutto questo campo nero della notte?
La figura femminile di Sonila, con la quale il protagonista vivrà una bruciante passione, nella sua ingenuità, rappresenta forse il meglio che quel mondo provinciale può offrire al protagonista, dilaniato dal conflitto tra lei ed Ela, la donna che lo aspetta a Tirana e a cui probabilmente tornerà. L'inverno sul lago di Ohrida, l'oppressivo grigiore degli anni del comunismo e il gretto provincialismo fanno da sfondo a una progressiva immersione dell'io narrante nel gorgo delle sue ossessioni e delle più segrete passioni. Gli esiti artistico-creativi di questa dolente discesa negli inferi di una coscienza dilaniata sono notevoli, talvolta, però, a scapito dell'aspetto puramente narrativo.
Kamela Guza
La prima volta che ho preso in
mano il testo di ”Lumenjtë e Saharasë” ho provato nel contempo felicità e
tristezza: felicità per avere scoperto un grande libro e un grande autore della
lingua albanese; tristezza per non avere avuto modo di conoscerli prima; un
autore la cui narrativa “è infatti un generoso invito alla bellezza sublime, è
il divertimento di un funambolo della lingua albanese, della lingua rumena, di
tutte le lingue del mondo” – riprendendo le parole che Elvira Dones scrive
nella presentazione del libro.
“Lumenjtë e Saharasë” dopo un po’
di tempo è iniziato a diventare “I fiumi del Sahara”, a prendere una forma
nuova in una lingua nuova...
Ardian-Christian Kyçyku nasce nel
1969 a Pogradec. Nel 1991 vince una borsa di studio e si trasferisce a
Bucarest, dove attualmente vive. Dal 1996 inizia a scrivere anche in
lingua rumena. Il “caso” vuole che, nonostante che la sua produzione letteraria
sia molto ricca (si contano circa 12 opere in albanese e altrettante in rumeno)
il suo nome rimanga sconosciuto alla maggior parte dei lettori albanesi.
Kyçyku ha scritto “I fiumi
del Sahara” giovanissimo. Il primo manoscritto risale al 1986.
Non c’è una storia unica, ci sono
varie storie che si svolgono in diversi luoghi del corpo, della coscienza e
dello spirito del personaggio principale: Gined Enkelana. E’ questo lo
pseudonimo che il personaggio si dà. Enkelana – come il nome antico di
Pogradec, la città dove si svolge la storia. Gined – come Gloria in Exelsis
Deo. E’ un personaggio che anima le vicende di altri tre romanzi di Kyçyku di
cui solo due sono stati pubblicati in albanese (“Lumenjtë e Saharasë” e “Puthmë
skelet”).
Si tratta di un giovane studente
che si allontana per qualche giorno da Tirana per tornare nella sua città
d’origine, Pogradec.
E’ obbligato a tornare nella sua
vecchia casa, tra quegli spazi pieni di ricordi e fotografie ingiallite dal
fumo delle sigarette, una casa dove pensa di vivere un’altra vita, diversa da
quella che vive a Tirana. L’incontro con una donna, un omicidio e il candore
della neve che scende lenta fanno scivolare il protagonista nelle più nascoste
oscurità del suo essere.
In realtà non è una storia che si
può raccontare. E’ un sogno, un tempo dilatato e rallentato ma pur sempre
sfuggente, è amore, è una storia attraversata da uno humour sottile e affilato
come una lama.
Potrei scrivere molte parole su
questo romanzo, ma sono convinta che sarebbero “parole di troppo”, dannose nei
riguardi di quella giusta misura di cui il testo stesso è portatore.
Per concludere quindi, scelgo di
usare le parole di Ardian per dire che “questo libro andrebbe letto anche
solo ed esclusivamente perché non si può raccontare”.
From: www.albanianews.it
Delirio onirico con
sarcasmo
Stefano Zangrando
Tra le uscite 2011
dei «piccoli fuochi», la collana dell’editore Zandonai dedicata alla letteratura
euro-orientale contemporanea, I fiumi del Sahara (traduzione di Kamela Guza,
pp. 117, Euro 13,00) di Ardian-Christian Kyçyku è forse la più ardita.
L’autore, nato nel 1969 a Pogradec, cittadina albanese sul lago di Ocrida, si
trasferì studente a Tirana e poi a Bucarest, dove vive ormai da circa
vent’anni. È bilingue, ha all’attivo una ventina di pubblicazioni tra romanzi,
racconti e drammi teatrali scritti in albanese e altrettanti in romeno. In
un’intervista ha dichiarato: «il romeno esprime meglio il grottesco, mentre
l’albanese si presta meglio al sarcasmo – per cui è il libro a scegliere la
lingua». E davvero in questo romanzo breve ma non facile, pubblicato
dall’autore a trent’anni, quello sarcastico è un registro predominante nella
virtuosa commistione stilistica lirico-prosaica che contraddistingue la voce
narrante e cui la traduzione forse non sempre rende giustizia. La trama, se ce
n’è una, è presto riassunta: l’anonimo protagonista, uno studente, è costretto
da una nevicata che ha bloccato le ferrovie a trascorrere una settimana nella
sua città natale. Qui, sempre assetato, vaga tra i soliti due o tre luoghi –
pasticceria, ponte, fiume, lago – tra monotonia paesana realsocialista e
suggestioni bucoliche, cercando distrazione dall’insopportabile nostalgia per
la fidanzata Ela: «perché sentire la mancanza di qualcuno non è altro che
vivere in anticipo, senza poterci fare nulla, la sua inevitabile perdita». Tra
i pochi personaggi in cui s’imbatte di continuo – un vicino bizzarro imbottito
di antibiotici, un amico d’infanzia abbrutitosi, un vecchio e un cane al bordo
della strada – spicca Sonila, avvenente annuncio di un possibile diversivo
erotico. Che si realizzerà, ma non prima di un episodio che scatena il delirio
onirico e verbale del narratore: il cruento omicidio di un uomo per mano di tre
suoi compagni di bevuta darà la stura a un vortice allucinato di voci, gesti e
immagini, in cui lo stropiccio dell’ordito testuale pare dare forma al
rigurgito subcosciente di un personaggio che, da sveglio, è quanto di più
presuntuosamente razionale si possa immaginare. Ed è quest’ultimo, dopotutto,
l’aspetto che più di altri fa del libro una lettura provocatoria, scorretta,
gradevolmente irritante: il protagonista è sprezzante per eccesso di
autocontrollo, saccente per difetto di sensibilità, e quella che Sonila chiama
la sua «imperturbabilità» non è che un maschilissimo narcisismo irrisolto – di
cui l’autore, d’altra parte, fa un uso consapevole e mirato, che gli permette
di creare situazioni di una verve drammatica mordace e grottesca (col che
s’insinua l’aspetto cui, a sentir Kyçyku, la lingua scelta avrebbe dovuto
impedire l’accesso), salvo poi instillare questa lucidità nello stesso
personaggio in certe sue uscite subfilosofiche, che hanno così il sapore di
inconsapevoli conati d’autocoscienza: «D’altro canto, a essere sinceri, la
mente umana mi era sempre sembrata un grande mucchio di merda – merda d’angelo,
s’intende».
(«Alias» dell’8
ottobre 2011.)
Gianfranco Franchi
Ardian-Christian
Kyçyku è uno scrittore balcanico, classe 1969, perfettamente bilingue:
albanese, per sangue e per formazione culturale, e rumeno, per adozione
culturale, estetica e politica. Non è l'unico scrittore albanese a incarnare
questa commistione: sembra sia una sorta di tradizione albanese, quella di
scrivere bella letteratura dopo aver vissuto un periodo in Romania, nutrendosi
del respiro di quel popolo, e della dialettica con i suoi artisti. Kyçyku, in
un recente e ricco scambio di battute con la stampa italiana, ha parlato di una
“lunga e consolidata tradizione”, in questo senso. Interessante.
Scopriamo la sua
narrativa grazie all'edizione Zandonai del suo “Lumenjtë e Saharasë”,
originariamente apparso nel 1999. “I fiumi del Sahara” è un quaderno di
narrativa esistenziale, sentimentale e onirica: non estraneo a un seducente e
lirico disordine espositivo, è il libro del ritorno a casa, in provincia, di un
oscuro intellettuale che sembrava aver dimenticato tutto del suo passato –
mentre in realtà era rimasto perfettamente uncinato ad esso. La traduzione
dall'albanese di Kamela Guza mantiene, mi piace immaginare, la freschezza d'una
lingua che non conosciamo affatto, e forse nemmeno abbiamo sentito parlare mai,
qui in Italia. Kyçyku ha dichiarato, in una bella intervista rilasciata a
Marjola Rukaj di “Osservatorio Balcani & Caucaso”, che “entrambe le mie
lingue sono estremamente ricche, ma si prestano meglio a tipi diversi di
soggetti. Il romeno per esempio ha un umorismo molto disinvolto, mentre
l'albanese è una lingua più solenne - il romeno esprime meglio il grottesco,
mentre l'albanese si presta meglio al sarcasmo - per cui è il libro a scegliere
la lingua. È difficile scrivere lo stesso libro in entrambe le lingue”. In
questo caso il sarcasmo va a tingere di grottesco, e puntinare di irrealtà, la
narrazione di qualcosa di altrimenti sin troppo vivido e comprensibile: vale a
dire il quadro della sofferenza e dell'alienazione di un uomo troppo sensibile
in un contesto che non è in grado di comprendere la sua sensibilità: se non nel
miracolo d'un amore. L'alienazione, come forse è prevedibile, diventa
allucinazione.
Il narratore dei
“Fiumi del Sahara” è uno scrittore. Come ogni scrittore, è uno spostato.
Almeno: è abbastanza spostato da esserne cosciente e non abbastanza da essersi
curato. Il narratore, naturalmente, è anche un lettore. Come una minoranza
assoluta di lettori sa, il vero lettore forte è pieno di pentimenti – o almeno:
a un tratto, nella sua vita, si riempie di sensi di colpa. Perché? “La prima
ragione, e anche la più importante, è che il tempo sprecato a leggere avrei
potuto impiegarlo facendo cose di maggior valore, più legate alla vita vera. La
seconda ragione, ugualmente importante: ho prestato la mia anima a così tanti
personaggi che ora non c'è dio al mondo che possa darmi indietro l'armonia
perduta” [p. 105]. Niente. Forse è colpa delle troppe letture. Forse c'è
qualcosa di diverso. Le letture eccessive non aiutano, non ci piove.
***
Dicevamo. “I fiumi
del Sahara” è la trasfigurazione dell'irrisolto rapporto con le proprie
origini: la storia di un uomo che torna in riva al lago della sua madrepatria e
non fatica a riconoscere che poco è cambiato, che sembra tutto sia rimasto
cristallizzato in una lentezza soffocante, oppressiva. Che niente sia stato in
grado di diventare bello: così... “Davanti al cinema incontrai un amico
d'infanzia. Era diventato grasso, la barba lunga, forse la malattia degli
intellettuali delle piccole città, sempre messi da parte, sempre incompresi.
Con i suoi strati di adipe in vista era come se si fosse affrettato a soffocare
le fantasie e le diavolerie dell'infanzia. Un uomo senza splendore. Si sa
quanto possano essere spiacevoli queste vecchie conoscenze, gli amici cambiati,
che non vedi da tempo ma all'improvviso ti spuntano davanti in una giornata
colma di nostalgia, spruzzando intorno a sé lo zolfo velenoso della quotidianità”
[p. 8]. E va da sé che sulle prime fanno finta di non riconoscersi. Dura poco.
In paese poi ci si incontra spesso.
Oppure, così.... “Mi
disse che si sentiva molto più serena dopo aver finalmente incontrato una
persona conosciuta, un amico. Mi irritò il fatto di essere stato trasformato in
un numero qualsiasi. Le dissi che provavo anch'io la stessa serenità,
soprattutto perché ero venuto qui per cambiare aria […]. Mi bacchettò con una
certa severità per il modo in cui parlavo della vita. Non dissi nulla, tanto
che importa” [p. 18].
***
Nell'introduzione,
Elvira Dones conclude e giudica: quella del narratore dovrebbe essere una vita
breve, ma “un pezzo di terreno smotta, i binari del treno – l'unica via di fuga
– diventano inagibili. Nel frattempo scende la neve, che tutto copre... Kyçyku
scrisse questo libro giovanissimo e ancora sconosciuto. Gli riuscì una piccola
perla, colma di un arcano erotismo di ambienti e luoghi, di amori divoranti e
attese snervanti”. Con un retrogusto acerbo, aggiungerei: ma non per questo
respingente. L'esotismo balcanico attenua certe asprezze, diciamo così, e una
certa prevedibilità.
EDIZIONE ESAMINATA e
BREVI NOTE
Ardian-Christian
Kyçyku (Pogradec, Albania, 1969), scrittore e giornalista albanese-rumeno. Vive
a Bucarest, da vent'anni. Insegna Scienze della comunicazione. Ha studiato
Storia e Filologia all’Università statale di Tirana.
Ardian-Christian
Kyçyku, “I fiumi del Sahara”, Zandonai, Rovereto, 2011. Traduzione
dall'albanese di Kamela Guza. Presentazione di Elvira Dones.
Prima edizione:
“Lumenjtë e Saharasë”, 1999.
From: www.lankelot.eu